Capodoglio Physeter macrocephalus, Norvegia. Canon EOS-1D MarkII, ob. Canon 300mm f4.0 con duplicatore Canon 2X.
9 agosto 2007, 13.02.25, ISO 640, priorità dei diaframmi, AV f4.0, TV 1/1600, misurazione media ponderata, compensazione -1/3, One-shot AF.
Post-produzione con Photoshop CS2.
Andenes è un piccolo villaggio delle isole Vesteralen, in Norvegia, situato circa trecento chilometri oltre il Circolo Polare Artico, subito a settentrione delle più famose e frequentate isole Lofoten. Qui, se vi va di affrontare un viaggio non poi semplicissimo, durante l’estate, potete trovare qualcuno che porta i turisti in mare aperto a guardare balene.
Bene, direte, niente di particolare, il mondo è pieno di luoghi organizzati per il “whale-watching”... E’ vero, ma Andenes ha una particolarità, quella di poter garantire, durante un’uscita in mare di 4-5 ore, più del 95% di probabilità di vedere un capodoglio.
Capodoglio… balena odontoceta, cioè dotata di denti e non di fanoni, indiscussa protagonista di uno dei più grandi romanzi della storia della letteratura, il melvilliano Moby Dick. Sembra che i posti al mondo dove un comune mortale, un semplice turista, come me, può riuscire ad incontrarlo siano meno delle dita di una mano.
Di fronte ad Andenes, però, in pieno Atlantico, la piattaforma continentale è incisa da un canyon, che ha la sua estremità molto vicina alla costa. Questo fa sì che con una navigazione di appena un’ora si possano raggiungere acque profonde oltre mille metri. Acque ricche di alimento per i capodogli, che hanno scelto proprio quel canyon sottomarino come loro habitat.
Si tratta di una popolazione stanziale, composta da un centinaio d’individui, tutti maschi, adulti e anziani ormai ritiratisi dalla vita riproduttiva, che trascorrono da queste parti i lunghi anni della loro maturità, semplicemente alimentandosi; una sorta di “pensionato” per balene.
Dunque non resta che imbarcarsi, ma se incappate, come è successo a me, in una tipica giornata di “norwegian weather”, raggiungere il vostro scopo (avvistare e fotografare la specie) può diventare davvero un’avventura melvilliana. Il nord Atlantico, infatti, per gente mediterranea e terragna, è in tempesta anche quando è calmo e il fatto che le compresse contro il mal di mare siano incluse nel prezzo della gita la dice molto lunga.
Insomma, a bordo di un grosso battello da pesca, in cui, dopo la prima ora, nonostante le pillole, almeno la metà dei cinquanta passeggeri era più impegnata a vomitare che a osservare balene, ho potuto godermi quattro ore di scrosci violenti di pioggia, di vento tagliente, di spruzzi furiosi di acqua salata, roba che doppiare Capo Horn, in confronto, dev’essere un gioco da ragazzi. E meno male che vi forniscono dei tutoni stagni, da indossare sopra i vestiti e che vi confortano con militareschi panini raffermi da inzuppare nella minestra di verdura, altrimenti sarebbe impossibile resistere. Io però non soffro il mal di mare, e di capodogli ne ho visti e fotografati addirittura quattro, anche se dovrei dire tre, perché uno è tornato a mostrarsi due volte… ma per me vale quattro lo stesso, non ho dubbi.
Ho colto la balena nel classico momento dell’immersione, l’attimo in cui solleva la coda e poi sprofonda, in cerca di qualche bestia enorme da divorare… sì, perché qui, nelle tenebre dell’abisso, s’incontrano i destini del capodoglio e della sua preda più ambita, il calamaro gigante. Essere misterioso, mostro marino per eccellenza, leggendario abitatore delle profondità, di certo legato al mito del Kraken, la grande piovra capace di affondare vascelli afferrandoli con i suoi enormi tentacoli.
Cosa accade là sotto, quando il capodoglio si tuffa? La balena bracca il calamaro nel buio usando il suo sonar biologico, lo raggiunge, lo addenta, ingaggia con il mostro una lotta mortale, di cui spesso porta i segni sul corpo: vaste cicatrici esito di ferite prodotte dagli aculei e dalle ventose dell’immane invertebrato. Spesso i resti del calamaro sono stati trovati nello stomaco della balena, ma di quella scena selvaggia nessun uomo è mai stato testimone, perché si svolge in luoghi inaccessibili e oscuri.
Melville di questo era già bene a conoscenza e ne parla nel suo capolavoro, sono righe affascinanti che val la pena riportare.
"The great live Squid, (…) they believe it to furnish to the Sperm Whale his only food. For though other species of whales find their food above water, and may be seen by man in the act of feeding, the Spermaceti Whale obtains his whole food in unknown zones below the surface; and only by inference is it that any one can tell of what, precisely, that food consists. At times, when closely pursued, he will disgorge what are supposed to be the detached arms of the squid; some of them thus exhibited exceeding twenty and thirty feet in length. They fancy that the monster to which these arms belonged ordinarily clings by them to the bed of the ocean; and that the Sperm Whale, unlike other species, is supplied with teeth in order to attack and tear it.“
Penso a quanti luoghi oscuri ancora nasconde il pianeta, a quanti recessi l'uomo ancora non ha potuto esplorare, profondità ctonie, abissi marini, vette irraggiungibili. E a come questi luoghi si possano poi espandere fino a comprendere l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo. Quanti scontri come quello del capodoglio e del calamaro ci staremo perdendo?
MOBY DICK