Ghepardo Acinonyx jubatus, Kenia, agosto 2003, Canon EOS3, ob. Canon 300mm f4.0, Fuji Velvia 50. Scanner Canon 2720 dpi.
Questa foto, scattata nel Masai Mara, in Kenia, è solo un discreto ritratto di ghepardo. E dico discreto perché secondo me l’espressione è troppo tranquilla, troppo da gatto di casa e rende l’immagine un po’ carente sul piano della “wilderness”. Eppure il ghepardo era assolutamente selvaggio e, in giornate precedenti, lo avevamo anche osservato cacciare con grande ferocia, ma qui, c’è poco da fare, il suo muso bonario non mostra grandi istinti predatori.
E allora, direte, come mai un’intera pagina per questa fotografia? Bene, sono legato a questa foto perché, anche se non sembra, essa contiene
il mio autoritratto. Si, fotografando il ghepardo in realtà ho fotografato me stesso. Beh, al momento dello scatto non ne ero consapevole, e neppure quando ho guardato la diapositiva, ma quando ho passato la pellicola nello scanner per ottenere la versione digitale, il particolare nascosto si è mostrato. Ho caricato il ghepardo in Photoshop e ho ingrandito per valutare la qualità della scansione e… eccomi là, nell’ambra intensa di entrambi gli occhi del felino. Si, i due occhi sono come specchi e in quei cristalli convessi si riflette la mia immagine.
Ho subito pensato al dipinto più famoso di Johannes de Eyck, quel “Ritratto dei coniugi Arnolfini” in cui il piccolo specchio convesso alle spalle della coppia mostra la scena dalla direzione opposta a quella scelta dal pittore, creando così una sorta di realtà virtuale a 360 gradi. Senza che me ne accorgessi, la stessa realtà virtuale a 360 gradi si era creata fotografando il ghepardo. E infatti l’ambra nelle sue sclere si continua nel giallo delle erbe secche della savana e va a staccarsi dal cielo azzurro lungo un piccolo orizzonte curvo, su cui si staglia, intera e perfettamente definita, la sagoma del nostro fuoristrada con dentro la mia stessa sagoma, che si sporge dal tetto, sotto il parasole, in un gesto riconoscibilmente fotografico.
Penso ancora una volta all’ambigua magia ottica, che ci permette di vedere quel che non possiamo vedere, ma penso anche a de Eyck e alla stanza misteriosa e piena di simboli dei coniugi Arnolfini… era il 1434 ed egli si sforzava di assimilare lo spettatore all’interno della sua scena, cercava di superare la bidimensionalità della sua opera, ma senza lenti e otturatori, senza emulsioni né pixel, soltanto con i suoi pennelli, i suoi colori e la forza del suo pensiero.
Pierons fuit hic 2003.
Massimo Cacciari
Tre icone
Edizioni Adelphi
IL RITRATTO DEI CONIUGI ARNOLFINI